L’evoluzione dei bond rinnovabili in Italia

L’evoluzione dei bond rinnovabili in Italia

Fino a qualche anno fa era praticamente impossibile per società non quotate in borsa l’emissione di bond. In tal modo, società erano tradizionalmente finanziate esclusivamente attraverso linee di credito bancarie. Tuttavia, la prolungata crisi economica e la cd. stretta del credito (credit crunch) degli ultimi anni ha indotto i governi a una liberalizzazione del mercato finanziario, permettendo a qualificati fondi di investimento l’emissione di bond rinnovabili. 

 

Al momento ci sono due tipi di bond: bond legati a settori infrastrutturali definiti per legge p.e. pedaggi autostradali, gasdotti ed elettrodotti definiti solitamente come project bonds; e bond di altre settori come ad esempio le rinnovabili, conosciuti come minibond. La definizione di minibond è in verità fuorviante poiché risalente al fatto che storicamente la ritenuta fiscale sui bond era concessa solo a grandi emittenti (aziende quotate o banche) e non ha niente a che vedere con il valore dei bond, il quale essere accordato senza limiti tra le parti. […]

 

Il mercato

Dall’introduzione delle nuove regole sull’emissione di bond rinnovabili sono stati 5 i soggetti provenienti dal mercato delle rinnovabili, che hanno emesso bond provenienti per un valore complessivo di 380mln€ (Table 1). […]

Seguendo l’introduzione delle nuove regole durante l’apice della crisi del credito, il mercato ha mostrato significativo interesse per questo prodotto a fine 2014 e inizio 2015. Il periodo ha poi seguito una pausa a fine 2015 e inizio 2016 quando le banche divennero più attive, per poi vivere una nuova ondata nella seconda metà del 2016. […]

Nel medio e lungo termine si aspetta che questo strumento diventi sempre più usato perché potrà permettere un utilizzo più efficiente dei capitali per investitori qualificati e per fondi di infrastrutture (infrastrutture debt funds) rispetto alle banche nel finanziamento a lungo termine di progetti infrastrutturali.

 

Struttura bond rinnovabili

In merito alla struttura societaria tutti i bond da rinnovabili sono stati emessi a livello della holding per un numero di motivi. Primo, impianti a fonti rinnovabile sono in genere piccoli e sono raggruppati in diverse SPV costituenti un portfolio appartenente a una holding e sarebbe praticamente impossibile emettere diversi bonds per diverse SPV. Secondo, il regime fiscale del bond fluisce dalla holding alle SPV, per permettere di finanziare il proprio debito nella forma di equity o quasi-equity (versamenti in conto aumento di capitale) è eleggibile per una deduzione sugli utili reinvestiti (ACE). Tuttavia, questo equity/quasi-equity flusso aumenta la rigidità e la difficoltà nel upstreaming la liquidità dalle SPV alla holding per finanziare il credito della holding, ovvero il bond. (Figura 1)

 

Le fonti rinnovabili

In termini di tecnologia, tutti i bond da fonti rinnovabili sono stati emessi da portfolio fotovoltaici, sebbene siano prevedibili dei potenziali accordi nel mercato dell’eolico. [..]

I motivi perché tutti i progetti bond delle rinnovabili provengano dal settore fotovoltaico nonostante i recenti tagli alle tariffe incentivanti includono le seguenti ragioni:

  • La potenza fotovoltaica installata è di gran lunga più ampia rispetto all’eolico: 19.000MWp vs 9.000MWp, e sistemi solari tendono ad essere più piccoli
  • I tagli alle tariffe incentivanti hanno spinto gestori di impianti a rifinanziare i propri asset per mitigare la riduzione dei guadagni con l’ammortamento delle linee di credito attive ed evitare ripercussioni sui dividendi
  • Il mercato M&A (nota: acquisizioni e fusioni) del fotovoltaico è stato più attivo rispetto all’eolico, il che ha favorito una spinta nelle operazioni di rifinanziamento.

 

Regulatory risk

La principale domanda per ogni pool di investimento inclusi proprietari di bond attivi negli investimenti rinnovabili nel mercato italiano riguarda la sicurezza, soprattutto in seguito all’entrata in vigore nel 2015 delle riduzioni alle tariffe incentivanti per impianti fotovoltaici e alla decisione della Corte Costituzionale di confermare tali tagli a dicembre 2016. […] Ci sono diverse ragioni perché investitori hanno raggiunto un certo grado di sicurezza:

  • In confronto ad altri Paesi p.e. Spagna, in Italia gli incentivi non sono pagati dallo Stato bensì dai consumatori di energia elettrica attraverso le bollette, pertanto il governo non è incentivato a ridurre i sussidi come strumento per migliorare il proprio bilancio;
  • Il razionale per il taglio alle tariffa era la riduzione dei costi in bolletta e pertanto aumentare la competitività del sistema industriale italiano, ma con il prezzo del petrolio ai minimi e assenza di aumenti nelle previsioni, sembra non ci siano ragioni impellenti per il governo di apportare ulteriori tagli;
  • La curva aggregata degli esborsi per il pagamento dei sussidi ha iniziato a scendere grazie alla decorrenza degli impianti più vecchi e l’assenza di meccanismi di incentivo per nuovi impianti;
  • Paradossalmente, la decisione della Corte Costituzionale di confermare i tagli alle tariffe ha migliorato la percepita stabilità del mercato in quanto molti player avrebbero temuto contromisure alla reintegro delle tariffe originali;
  • Il governo è stato attento, al momento di definire i tagli, a non creare un default del sistema; molti proprietari hanno ridotti i propri margini, dividendi in certi casi non sono stati distribuiti ma il sistema fotovoltaico (nota: e bancario) non è entrato in default (DSCR<1);
  • Con il taglio delle tariffe il governo ha perso credibilità a livello internazionale in un momento in cui l’Italia cerca di incoraggiare investimenti internazionali, pertanto ulteriori tagli metterebbero troppo a rischio l’affidabilità degli investitori per il Paese;
  • Alcune delle più grandi aziende Italiane come Eni ed Enel, entrambe con partecipazione statale, hanno annunciato programmi per investire nelle rinnovabili in Italia;
  • Nonostante tutto questo, l’Italia soffre di un profilo di rischio maggiore rispetto ad altri stati nordeuropei. Secondo alcuni player tale rischio vale la pena nella prospettiva di un portfolio europeo di assets.

Un trend conclusivo recentemente rilevato è che se sempre più investitori internazionali iniziano a guardare l’Italia per le ragioni sopraindicate, sia per debito o acquisizioni, nel settore delle rinnovabili o infrastrutturale, la competizione per gli asset italiani tende a ridurre il premium del mercato da far si che determinate strutture iniziano a valutare deal al confine con il settore delle infrastrutture p.e. telecom e immobiliare in aggiunta alle pipeline infrastutturali e rinnovabili.

Fonte: articolo di Carlo Andrea Meacci (Head of Energy Italia presso Ashurst), pubblicato su “Project Finance International Global Energy Report” – April 2017 disponibile qui.